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Dove non si mangia il panettone

Natale in Italia è sinonimo di panettone e pandoro, ravioli in brodo e cappone ma la possibilità di provare qualche golosità proveniente dal Natale di altre latitudini è diventata negli anni una occasione sempre più alla portata grazie a ristoranti e negozi etnici ben forniti e con personale disponibile a spiegare in cosa consista la loro proposta.

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All’estero è da Stella Michelin ma anche
a Milano qualcosa bolle in pentola

L’Africa è un continente. Dichiarazione incontrovertibile in geografia ma molto meno quando focalizziamo l’attenzione sulla sua cucina. Fino a pochissimo tempo fa infatti gastronomicamente parlando Africa per noi faceva rima quasi esclusivamente con Egitto, Marocco, Senegal ed Etiopia che per sessant’anni è stata una nostra colonia con il nome di Abissinia e da tempo è presente con alcuni avamposti culinari tra Milano, Emilia, Roma e la costa laziale.
Il resto del territorio in questo settore era riassumibile, per così dire, con la famosa espressione ‘Hic shunt leones’ (‘qui ci abitano i leoni’, ndr) intendendo con ‘qui’ l’80% del continente e con ‘leoni’ i luoghi comuni più classici del settore come le focacce cotte sulla pietra, i bocconcini di carne di cammello o ceci e poco altro. Ebbene la situazione sta cambiando velocemente.

Nelle mani della nuova generazione
Le prove di una mutata sensibilità sono tante, a partire dalla trasmissione nazional-popolare Masterchef Italia, seguitissima nel nostro Paese, che questo febbraio 2024 ha ospitato come chef stellato da cui i concorrenti dovevano imparare tecniche e segreti il francese di origini maliano-senegalesi Mory Sacko che ha presentato uno dei suoi piatti iconici. Scordiamoci proposte tipo lo zighinì, un alimento etiope basato sul concetto di mangiare con le mani uno spezzatino speziato servito su focaccia, o il cous cous marocchino a base di semola e verdure, quello che Sacko ha portato all’attenzione di pubblico e telecamere è stato un taglio di carne francese cotto secondo una ricetta popolare nel centro Africa ed affinato con spezie giapponesi.
In Francia questo cuoco di 32 anni ha ottenuto per il suo ristorante parigino una stella Michelin in sole sei settimane dall’apertura, nel 2020, e ora sta procedendo speditamente a cambiare la prospettiva da cui i francesi guardano la cucina del suo continente a colpi di ricette della sua famiglia modulate attraverso le tecniche di cottura francesi e nipponiche.
Ingredienti come arachidi, peperoncino e pomodoro, insieme al platano ed alla manioca sono alla base di molti dei piatti dell’Africa che vengono sempre più spesso presentati anche da noi in Italia, con l’ambizione di farci conoscere l’estrema varietà culinaria di cui queste terre sono portatrici. Certo non siamo in Francia, regno indiscusso delle contaminazioni e sperimentazioni, né a Londra, da sempre aperta al nuovo e priva di quella tradizione autoctona di ‘buona cucina’ che in Italia può diventare una barriera di pregiudizio nei confronti delle altre realtà che in questo ambito cercano di farsi spazio ma qualcosa si sta muovendo. Anche alle nostre latitudini.

All’ombra della Madonnina
Laakam in camerunese vuol dire ‘Porta d’ingresso’ o ‘inizio’ ed è riferito ad un viaggio o ad una nuova esperienza che prende l’avvio. In effetti mai nome più adatto è stato dato ad un ristorante che si pone come obiettivo far conoscere la cucina del Camerun a Milano. «Il nostro Stato è grande e poco conosciuto. Abbiamo mare, monti e pianure che ci forniscono un tesoro di materie prime vastissimo, permettendoci di realizzare piatti diversi a seconda della regione in cui ci si trova. Il problema è che non siamo famosi come invece lo sono la cucina francese, italiana o cinese. Dobbiamo ancora arrivare alla notorietà ma ci stiamo lavorando» ci ha detto con un forte accento francese la responsabile di sala del ristorante Laakam, locale aperto pochi mesi fa e vicino a Piazzale Loreto, nel vivace quartiere di Nolo, caratterizzato da studi di design e locali frequentati da un pubblico di adulti che a fine giornata vuole rilassarsi senza il rumore ed il caos dei Navigli. «Noi proponiamo i piatti della tradizione camerunese perché voi italiani possiate cominciare ad apprezzarli - continua - ma abbiamo anche clienti che sono nati in Africa, lavorano in Italia e che arrivano, per esempio, da Rimini per gustare un piatto di Fufu ed okra speziata cucinato come si deve». Solo quest’anno a Milano hanno aperto tre nuovi ristoranti africani che, sintomaticamente, non si trovano più nell’area tra la Stazione Centrale e Porta Venezia che negli anni ’90 era chiamata appunto ‘Africa’ ma sono sparsi per la metropoli in zone centrali o semicentrali proponendo la cucina regionale di casa loro. Come letteralmente fanno al Malaika, in un locale vicino Piazza Cinque Giornate dove due sorelle sempre provenienti dal Camerun offrono carne e pesce cucinato come lo faceva la loro madre. In effetti i menù, stringati ma non poveri nelle proposte, propongono pesce grigliato con spezie, salse e platano fritto, carne stufata o grigliata, succo di baobab e pollo, un’ingrediente quest’ultimo che piace particolarmente. Da Laakam si trova per esempio il celeberrimo (per loro) ’Pollo DG’, ovvero il pollo del Direttore Generale, intendendo un piatto adatto ad una persona che ha fatto carriera o solamente che si vuol dare delle arie e si tratta bene con una ricetta dalle proporzioni generose a base di pollo fritto, peperoni e manioca stufata. Si tratta di proposte non certo sofisticate ma buone nel senso in cui i nostri nonni intendevano una pasta buona o uno spezzatino saporito.
Siamo ancora distanti dalle proposte sofisticate dei ‘restaurant’ francesi ma la volontà di alzare l’asticella della qualità c’è tutta. (F.S.)